PRIMA SERATA: SIETE TUTTI NOI, RAGAZZI! di Beppe Rondinelli
Scritto da Beppe Rondinelli il 3 Marzo, 2021
E’ vero, non è stata una prima serata da boom e anche i dati d’ascolto già diffusi lo dimostrano, ma solo chi conosce il Festival e soprattutto le regole del palcoscenico, comprende quanto possa essere stato difficile per conduttori e comprimari di questa settantunesima edizione, rompere il ghiaccio davanti all’affamata platea musical-televisiva dell’evento più importante dell’anno. Nessuno osi dire che in fondo “si tratti di un qualunque spettacolo televisivo” e “che comunque ciò che conti siano i contenuti, non il pubblico”, perché sarebbero vere eresie da critico dell’ultima ora che non conosce evidentemente la regola fondamentale dell’empatia con la platea presente e le dinamiche che portino un artista a dare il meglio di se, a volte persino guardando negli occhi le prime file. La kermesse in questione, poi è talmente legata a questa relazione tra spettatore e compagnia recitante, da esserne diventata negli anni quasi co-protagonista della scena ed ogni applauso spontaneo, ogni risata, ogni reazione incontrollata della galleria influenzano persino l’andamento della gara stessa. Quando ad esempio nel corso dell’ultima esibizione della finale il pubblico saluta l’interprete con un fragoroso battimani o addirittura con una standing-ovation, ecco quella è la prova che l’obiettivo promozionale dell’interessato sia stato raggiunto, cioè che la canzone sia stata giustamente recepita dal fruitore medio della musica nostrana e che magari la sua consacrazione sia effettivamente avvenuta, facendone magari decollare la carriera.
Che dire poi del polso tastato dal palco dai conduttori, al momento di una battuta, di uno sketch, di un fuoriprogramma, letto dall’espressione di ogni singolo spettatore presente in sala, che diventa così l’involontaria espressione del telespettatore medio davanti allo schermo. Un sorriso, una smorfia, un dissenso, un sussurro, possono addirittura avere il potere di influenzare tutto il seguito dell’intero spettacolo, influenzandone l’intera buona riuscita e, solo un esperto veterano sa riprendersi l’attenzione, dopo uno sfuggito sbadiglio…
Dunque lasciatemi celebrare e fare il tifo per Amadeus e Fiorello innanzitutto, che hanno dovuto fare i conti con le poltrone rosse di un intero teatro, a rischio di un’autoconvincimento che in quell’istante non ci fossero dall’altra parte una decina di milioni di abbonati, assetati di eventi ma che si stessero solo facendo le prove generali. In fondo i due hanno saputo mantenere le fila di un (vecchio) discorso lungo oltre settant’anni, portando a casa il risultato medio di un rituale che vuole la prima serata sempre un po’ legata e (mai come in questo caso) sottomesso ai protocolli. Insomma, ce l’hanno messa tutta e a volte è stato proprio visibile il loro sforzo nel sorridere davanti alla tragedia, nonostante la consueta scontatezza di alcuni dialoghi messi insieme dagli autori.
Bella sorpresa la giovane e già acclamatissima MATILDA DE ANGELIS, che proprio perché abituata a recitare la parte davanti all’esigua presenza di personale di un set cinematografico ha saputo tenere banco con disinvoltura e versatilità che potranno esserle utili nel suo percorso artistico.
Legato e troppo poco credibile nella parte del “padrone del palco”, cucitagli addosso dallo staff autorale, la superstar della serata ZLATAN IBRAHIMOVIC a cui il ruolo ha regalato ben poca simpatia e tantomeno giustificata indispensabile presenza.
Le canzoni? Non sono riuscito proprio a fare balzi sulla poltrona per nessuna delle tredici in lizza dei Campioni e, peggio per le solitamente sorprendenti dei Giovani, che stavolta non hanno brillato per originalità e novità. Tra loro il migliore mi è parso il promosso FOLCAST, ma terrei d’occhio anche AVINCOLA.
Tra i big ho trovato esaltanti solo i rockettari MANESKIN che hanno dato dimostrazione che si possa essere “contemporanei” e graditi alle fasce più giovani anche con il buon vecchio rock degli strumenti veri. E poi ho trovato coraggioso nella scelta di un genere “fusion” e jazzistico di GHEMON, pur trovando il suo testo poco efficace.
Apprezzabili poi senz’altro ARISA nel suo look involontariamente (?) diavolesco e la sexy ANNALISA, due garanzie di professionalità e impeccabilità interpretativa. Niente male la rediviva NOEMI anche se un po’ troppo ripetitiva. Benaugurante la prestazione di FASMA che ha tentato di dare una voce cantata al suo rap, scimmiottando qua e la il collega Ultimo.
Utile essenzialmente ai social la prestazione di FRANCESCA MICHIELIN e FEDEZ, certo senza molti guizzi a parte l’espediente del drappo bianco tra i microfoni, ad involontario effetto “carta igienica” commentato dai più. Troppo legato invece ai suoi soliti e ormai poco spiazzanti travestimenti MAX GAZZE’ con un brano davvero classico per lui, al pari di FRANCESCO RENGA, ormai talmente festival-dipendente da non riuscire a stupire più nemmeno quando stona nel cantare il suo difficilissimo pezzo.
Forse troppo sopra le righe l’esibizione di AIELLO, che sa bene di giocarsi la consacrazione nazional-popolare ed esagera in grinta, sapendo però bene che è proprio quello che farà parlare di lui all’indomani, attirando così un po’ l’attenzione per lui che è per molti sconosciuto.
Ciò su cui vorrei soffermarmi è però la prestazione dell’attenzionata MADAME, idolo del web e decantata come “la più promettente nel panorama musicale italiano del momento”. Personalmente la trovo persino “dannosa” come punto di riferimento per le nuove generazioni che spero tanto non si vogliano riconoscere nel suo atteggiamento strafottente e fuori luogo. Paradossale poi che il pezzo s’intitoli VOCE, quando poi lei ricorra ad un continuo Auto-Tune che la protegge e la rinforza per le sue ben poche virtù canore. Ciò che detesto di lei è proprio il fatto che sfrutti i suoi diciott’anni, apparendo più vecchia del vecchio, paventando poi chissà quale fuoco d’artificio frutto solo del lavoro artigianale dello staff di produttori che le sono alle spalle.
Troppo autoreferenziale e sinceramente sul filo della “baracconata”, la performance tanto decantata di ACHILLE LAURO, ormai prigioniero dell’immagine costruita da se stesso, da chissà quale profeta o avanguardista di maniera. Come dicevano a me quando da bambino tentavo di mettere troppo la testa fuori dal sacco: “Ne devi magna’ ancora de sale, cocco…”.